AIPPI, Genova 23 gennaio 2010
Il titolo del convegno mostra da subito l’intento di collegare quello che avviene all’interno della stanza di terapia al mondo esterno, all’esperienza di vita – presente e passata – dei bambini adottati, alle difficoltà dei loro genitori, degli operatori che li accompagnano. Un’esperienza carica di dolore e di speranza, di sentimenti così intensi che, avvicinandoli, ognuno di noi rischia di rimanerne profondamente scosso e invaso.
Sono bambini “contesi” tra più realtà, interna ed esterna certo, ma anche tra due realtà esterne e conseguentemente tra due diversi posti nella propria mente.
Il lavoro del terapeuta è “con le atmosfere”, con le memorie preverbali, ma anche con memorie, pensieri e sentimenti più coscienti.
Non si può non sapere che quel bambino ha una storia, che ha vissuto un lungo periodo della sua esistenza nel quale è stato immerso in suoni, lingue, rumori e odori che erano diversi, a volte molto diversi.
Chi ha esperienza di lavoro con i bambini adottati sa quanto spesso il lavoro iniziale sia proprio quello di creare un contenitore: offrire un contenimento ad agiti e pensieri non pensabili.
E’ necessario un attento e lungo lavoro di attesa – saper stare affianco – che prima di poter accedere ad livello della relazione e successivamente dell’interpretazione di transfert. Il terapeuta deve avere una continua attenzione sul come, quando e quanto si può collegare il materiale che osserviamo nella seduta di psicoterapia alla storia del bambino e soprattutto alla sua “storia adottiva”.
Un livello narrativo non consapevole della storia primitiva del bambino. Qualcosa che il terapeuta deve conservare nella sua mente, che non è ancora interpretabile, che diventa indispensabile per comprendere il bambino adottato e favorire un’integrazione delle sue parti del Sé; soprattutto utilizzando il proprio controtransfert.
Integrazione molto complessa che deve mettere insieme molti “luoghi mentali” differenti: il bambino deve integrare le sue vicissitudini di vita, spesso molto drammatiche, le nuove relazioni con i genitori adottivi, quello che resta delle rappresentazioni del luogo delle origini.
L’adozione tra mondo interno e realtà
AIPPI, Genova 23 gennaio 2010
Il titolo del convegno mostra da subito l’intento di collegare quello che avviene all’interno della stanza di terapia al mondo esterno, all’esperienza di vita – presente e passata – dei bambini adottati, alle difficoltà dei loro genitori, degli operatori che li accompagnano. Un’esperienza carica di dolore e di speranza, di sentimenti così intensi che, avvicinandoli, ognuno di noi rischia di rimanerne profondamente scosso e invaso.
Sono bambini “contesi” tra più realtà, interna ed esterna certo, ma anche tra due realtà esterne e conseguentemente tra due diversi posti nella propria mente.
Il lavoro del terapeuta è “con le atmosfere”, con le memorie preverbali, ma anche con memorie, pensieri e sentimenti più coscienti.
Non si può non sapere che quel bambino ha una storia, che ha vissuto un lungo periodo della sua esistenza nel quale è stato immerso in suoni, lingue, rumori e odori che erano diversi, a volte molto diversi.
Chi ha esperienza di lavoro con i bambini adottati sa quanto spesso il lavoro iniziale sia proprio quello di creare un contenitore: offrire un contenimento ad agiti e pensieri non pensabili.
E’ necessario un attento e lungo lavoro di attesa – saper stare affianco – che prima di poter accedere ad livello della relazione e successivamente dell’interpretazione di transfert. Il terapeuta deve avere una continua attenzione sul come, quando e quanto si può collegare il materiale che osserviamo nella seduta di psicoterapia alla storia del bambino e soprattutto alla sua “storia adottiva”.
Un livello narrativo non consapevole della storia primitiva del bambino. Qualcosa che il terapeuta deve conservare nella sua mente, che non è ancora interpretabile, che diventa indispensabile per comprendere il bambino adottato e favorire un’integrazione delle sue parti del Sé; soprattutto utilizzando il proprio controtransfert.
Integrazione molto complessa che deve mettere insieme molti “luoghi mentali” differenti: il bambino deve integrare le sue vicissitudini di vita, spesso molto drammatiche, le nuove relazioni con i genitori adottivi, quello che resta delle rappresentazioni del luogo delle origini.
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